Cosa rimane dopo il magnifico concerto targato QM festival del gruppo newyorkese di Shayna Steele sabato sera all’auditorium di Morbegno? L’impressione che nessuno strumento inventato a tutt’oggi dal genio umano possa eguagliare quello di cui madre natura ha fornito pochi eletti. La vocalità! L’uso in chiave melodica, musicale di un organo straordinario. Voce come espressione dell’anima, voce come splendente narratrice di storie ed emozioni. Non voglio sminuire l’ottimo “lavoro” del quartetto, composto da David Cook al piano, Jeremy Most alla chitarra, Brian Cockerham al basso e Ron Pederson alla batteria, ma sottolineare quanto ha colpito il canto di Shayna. La trentanovenne californiana, già dai primi vocalizzi di “I got you”, brano che apre anche il suo ultimo lavoro “RISE” ha dimostrato di padroneggiare con maestria la propria ugola. Tono narrante dark, andamento soffuso sopra una spoglia base percussiva, divina! La seguente “Can’t let you go” molto easy, con un ritornello cantabile assai, ne ha rivelato il lato giocoso. “Everybody’s crying Mercy” di Mose Allison, assieme a “Paper Bag” di Fiona Apple sono state le uniche cover della serata ed anche in questo caso le autrici non potranno che rallegrarsi della performance. Da rimarcare che tutti i brani, ad eccezione dei due appena menzionati sono stati composti dalla stessa Steele e dal pianista e compagno di vita David Cook. Il set è proseguito con l’esecuzione di due perle dal diverso tenore. Dapprima una idilliaca “Hyde Park”, quasi una sognante dichiarazione d’amore per il verde ‘giardino’ londinese, successivamente una “Gone under” dallo spiccato ritmo pianistico, abbellita da lievi ricami di chitarra e con crescendo vocale da urlo. Se volessi trovare una critica allo spettacolo, azzarderei la sua durata, novanta minuti circa. E’ stato come assaggiare un piatto delizioso, raffinato, ma avendone ricevuto una porzione tipicamente da nouvelle cuisine, la fame non è stata interamente soddisfatta. Finale con l’esecuzione di “Sunshine girl” canzone dai forti richiami alla “My baby just cares for me” di Nina Simone, seguita da “Coulda had me”, song caratterizzata da note dilatate e dall’incedere ben scandito dal piano, in perfetta simbiosi con i ricami vocali. Ultima, ma solo in ordine cronologico “Wear me down”, brano trascinante, urlato e ‘sudato’ che al sottoscritto ha rievocato la mitica “Think” di un’arrabbiatissima Aretha Franklin rivolta al coniuge che nel film “The Blues Brothers” l’aveva apostrofata con un perentorio “Shut up woman” “Zitta donna” Sul finale ho volutamente menzionato due grandissime interpreti della vocalità femminile perché Shayna Steele ha le carte in regola per essere assimilata a tali interpreti. Sabato 14 si festeggiava anche la giornata degli innamorati e la sensazione che per la durata dello spettacolo molti presenti si siano sentiti se non innamorati, almeno estasiati da tanta vocalità è più che legittima.

(Aldo Giudici, ufficio stampa QM)


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